Listen "Identità nell’arte e negli archivi"
Episode Synopsis
La collega curatrice Ksenia Soboleva e l’archivista Tali Han discutono della famosa mostra del Guggenheim “Una Rosa è una Rosa è una Rosa” e di come gli aspetti relativi all’identità influenzino l’atto dell’archiviazione.
Transcript
Narrator: Salve e benvenuti a "Guggenheim dalla A alla Z."
Negli ultimi decenni, la condizione di come ci identifichiamo, attraverso la lente del genere, della cultura e dell’orientamento sessuale, si è andata via via evolvendo. I confini sono stati sfumati, le distinzioni sono state messe in discussione e sono state esplorate alternative. Questa profonda trasformazione della società è stata riflessa ed evidenziata dall’arte.
In questo episodio la curatrice Ksenia Soboleva e l’archivista Tali Han discutono di come sia emerso il problema dell’identità attraverso l’arte. Inoltre parlano dell’innovativa mostra del Guggenheim "Una Rosa è una Rosa è una Rosa: Performance di genere in fotografia," che ha fatto conoscere al grande pubblico alcuni aspetti di questa fondamentale esplorazione.
Ksenia Soboleva: Sono Ksenia Soboleva. Sono una storica dell’arte specializzata in arte queer, con particolare attenzione alla cultura visiva lesbica. Sono una collaboratrice curatoriale Vilcek presso il Guggenheim.
Tali Han: Sono Tali Han e ho lavorato al Guggenheim Museum per quasi sei anni nel reparto Biblioteca e Archivi.
Soboleva: L’identità è sempre stato un tema importante in tutta la storia dell’arte. Si può iniziare da dove si vuole: l’identità è sempre stata presente. Ma ha iniziato ad essere esplorata come un costrutto, il costrutto che in effetti è. E questo è stato fatto principalmente attraverso il mezzo fotografico.
Ma è negli anni Ottanta che gli artisti hanno iniziato ad affermare che l’idea stessa di donna era un costrutto, e a tirare in ballo tutte le altre nozioni di identità, come il genere, la razza e la classe, mettendo pressione alla struttura che il femminismo aveva stabilito per pensare a tutte queste identità aggiuntive e a come ci fossero strutture di potere e stereotipi intrinseci nella rappresentazione e nell’arte.
Per quanto riguarda il Guggenheim, credo che questo sia un aspetto interessante da ricordare. Nel 1997 Jennifer Blessing ha curato una mostra dal titolo "Una Rosa è una Rosa è una Rosa," che deriva da una famosa poesia di Gertrude Stein, e tutta la mostra era dedicata all’esplorazione del genere affrontata dalla fotografia. Il Guggenheim è stata una delle prime istituzioni ad organizzare una grande mostra istituzionale su questo tema. Una mostra che ha assunto un valore decisamente emblematico.
Questo succedeva nel ’97, proprio quando la tendenza stava prendendo piede. Allora si pone una domanda interessante: perché lo strumento fotografico è particolarmente adatto all’esplorazione dell’identità? E credo che sia proprio per questo che questa tendenza, una tendenza decisamente ingannevole, possa fungere da documento. Mentre mezzi come la pittura e la scultura sono più evidentemente artificiali, la fotografia si presenta ingannevolmente come prova del reale, anche se in effetti essa stessa è qualcosa di costruito.
Han: C’è questa nozione che “se qualcosa è fotografato, è una prova di qualcosa”, mentre il dipinto, secondo me, può essere qualcosa più simile a un prodotto. Ma credo che la fotografia possa essere tutto questo. E ci sto pensando proprio nell’ottica degli archivi, a quello che la gente pensa quando “scopre” una fotografia negli archivi e a come queste cose possono essere tradotte per adattarsi ad una certa narrativa. In pratica, qualcosa come ribaltare la questione.
at guggenheim.org/audio
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Narrator: Salve e benvenuti a "Guggenheim dalla A alla Z."
Negli ultimi decenni, la condizione di come ci identifichiamo, attraverso la lente del genere, della cultura e dell’orientamento sessuale, si è andata via via evolvendo. I confini sono stati sfumati, le distinzioni sono state messe in discussione e sono state esplorate alternative. Questa profonda trasformazione della società è stata riflessa ed evidenziata dall’arte.
In questo episodio la curatrice Ksenia Soboleva e l’archivista Tali Han discutono di come sia emerso il problema dell’identità attraverso l’arte. Inoltre parlano dell’innovativa mostra del Guggenheim "Una Rosa è una Rosa è una Rosa: Performance di genere in fotografia," che ha fatto conoscere al grande pubblico alcuni aspetti di questa fondamentale esplorazione.
Ksenia Soboleva: Sono Ksenia Soboleva. Sono una storica dell’arte specializzata in arte queer, con particolare attenzione alla cultura visiva lesbica. Sono una collaboratrice curatoriale Vilcek presso il Guggenheim.
Tali Han: Sono Tali Han e ho lavorato al Guggenheim Museum per quasi sei anni nel reparto Biblioteca e Archivi.
Soboleva: L’identità è sempre stato un tema importante in tutta la storia dell’arte. Si può iniziare da dove si vuole: l’identità è sempre stata presente. Ma ha iniziato ad essere esplorata come un costrutto, il costrutto che in effetti è. E questo è stato fatto principalmente attraverso il mezzo fotografico.
Ma è negli anni Ottanta che gli artisti hanno iniziato ad affermare che l’idea stessa di donna era un costrutto, e a tirare in ballo tutte le altre nozioni di identità, come il genere, la razza e la classe, mettendo pressione alla struttura che il femminismo aveva stabilito per pensare a tutte queste identità aggiuntive e a come ci fossero strutture di potere e stereotipi intrinseci nella rappresentazione e nell’arte.
Per quanto riguarda il Guggenheim, credo che questo sia un aspetto interessante da ricordare. Nel 1997 Jennifer Blessing ha curato una mostra dal titolo "Una Rosa è una Rosa è una Rosa," che deriva da una famosa poesia di Gertrude Stein, e tutta la mostra era dedicata all’esplorazione del genere affrontata dalla fotografia. Il Guggenheim è stata una delle prime istituzioni ad organizzare una grande mostra istituzionale su questo tema. Una mostra che ha assunto un valore decisamente emblematico.
Questo succedeva nel ’97, proprio quando la tendenza stava prendendo piede. Allora si pone una domanda interessante: perché lo strumento fotografico è particolarmente adatto all’esplorazione dell’identità? E credo che sia proprio per questo che questa tendenza, una tendenza decisamente ingannevole, possa fungere da documento. Mentre mezzi come la pittura e la scultura sono più evidentemente artificiali, la fotografia si presenta ingannevolmente come prova del reale, anche se in effetti essa stessa è qualcosa di costruito.
Han: C’è questa nozione che “se qualcosa è fotografato, è una prova di qualcosa”, mentre il dipinto, secondo me, può essere qualcosa più simile a un prodotto. Ma credo che la fotografia possa essere tutto questo. E ci sto pensando proprio nell’ottica degli archivi, a quello che la gente pensa quando “scopre” una fotografia negli archivi e a come queste cose possono essere tradotte per adattarsi ad una certa narrativa. In pratica, qualcosa come ribaltare la questione.
at guggenheim.org/audio
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